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La prima impresa edile Corrù

Nella seconda metà dell’Ottocento si registrò anche un avvenimento che avrebbe avuto ripercussioni economiche a livello locale, e che avrebbe trasformato Cavenago da paese prettamente agricolo a centro rinomato per la presenza di una forte tradizione edile.

Due giovani di Cavenago, tra il 1846 e il 1847, abbandonato il lavoro nei campi, parteciparono, come manovali, alla costruzione di una nuova chiesa parrocchiale. Si chiavano Giuseppe e Pietro Corrù. Nel 1848 Pietro Corrù venne arruolato alle liste di leva dell’esercito Austro-Ungarico. Rimase sotto le armi per dodici anni, attraversando l’Europa con indosso la divisa militare austriaca. Al suo ritorno a Cavenago lasciò allibiti i suoi familiari ed i coetanei, perché parlava perfettamente la lingua tedesca. Il fratello Giuseppe Corrù, invece, pur di non far ritorno al lavoro dei campi, decise di rimanere alle dipendenze dell’impresa edile del Canton Ticino, diretta dallo svizzero Vittore Vittori, che aveva innalzato la chiesa parrocchiale.

E con i muratori svizzeri rimase per dodici anni, girovagando per tutto il bergamasco, a costruire chiese.

Nel 1860 i due fratelli si ritrovarono in paese. E qui decisero di mettere in comune l’esperienza che si erano fatti in quei dodici anni trascorsi fuori dal Lodigiano. Nacque così la prima impresa edile, composta inizialmente da quattro braccia, dei Corrù. La fortuna dei due fratelli fu quella di trovare lavoro presso la Pia Casa Kramer, proprietaria della grande Cascina delle Donne. In un cascinale vasto come un paese c’era lavoro quotidiano per i due muratori.

I Corrù rimasero alla Cascina delle Donne per un decennio, fino al 1870: in quel periodo cominciarono la cosiddetta “fabbrica”, l’edificio ottocentesco che che sorge alla periferia della cascina, isolato sulla sinistra, lungo la strada che da Cavenago conduce a Turano.

In quella “fabbrica” venne impiantata l’attività di uno zuccherificio, la cui materia prima era ricavata dalle barbabietole.

Quando nel 1870, Pietro e Giuseppe Corrù abbandonarono la Pia Casa Kramer per continuare un’attività edilizia sia a Cavenago che negli altri centri del territorio, avevano alle proprie dipendenze già uno sparuto gruppo di manovali e di muratori. Dai due fratelli si sviluppò l’attività edile che rese poi famose le imprese di Cavenago in tutto il resto del Lodigiano. Se Giuseppe Corrù era esperto muratore, il cervello della piccola impresa era però il fratello Pietro: il girovagare per l’Europa, seppure con indosso la divisa di soldato austriaco, era servito ad aprirgli la mente.

(dal libro “Storia di Cavenago d’Adda” scritto da Ferruccio Pallavera, sindaco di Cavenago d’Adda)

Le origini dell’impresa Riccardo Corrù

Riccardo Corrù nacque il 24 dicembre 1926 a Cavenago d’Adda da Maria Marescotti e da Giovanni Corrù.
Quest’ultimo era uno dei figli del celebre Gaetano Corrù, personaggio mitico nella storia delle imprese edili di Cavenago.
Dal matrimonio nacquero dieci bambini, solo la metà dei quali sopravvissuti: Teresina, Fortunato, Eligio, Maddalena e Riccardo.

Riccardo frequentò le scuole primarie a Cavenago, e – tra i pochissimi della sua età – arrivò anche a concludere le scuole medie inferiori, che allora venivano chiamate “l’avviamento”. Ultimate quelle, ancora adolescente, incominciò a lavorare nell’azienda di famiglia. In quegli anni che precedevano lo scoppio della seconda guerra mondiale a Cavenago chi aveva la fortuna di portare il cognome di Corrù aveva un lavoro assicurato nel settore edile. Il giovanissimo Riccardo era anche il nipote diretto dell’ormai anziano Gaetano Corrù, che dal nulla, tra il 1890 e il 1940, aveva creato un impero. Alle sue dipendenze (era l’epoca nelle quali si lavorava senza macchinari, solo con la forza delle braccia) c’erano più di cento muratori, grazie ai quali l’impresa Corrù aveva acquistato una solidità tale da permetterle di innalzare costruzioni tuttora ammirate, tipo la grande Villa Greppi di Cavenago d’Adda all'inizio del Novecento o l’intero corpo di fabbrica della Zerbaglia nel 1938.

Terminate le scuole dell’avviamento, Riccardo entrò nell'impresa di famiglia che faceva capo al vecchio patriarca Gaetano. Rivelò subito doti spiccate, al punto tale che a soli quindici anni era in cantiere a comandare una squadra di muratori e manovali. La ditta edile, in quegli anni di guerra, lavorava soprattutto nelle cascine, al servizio dei fittabili e degli agricoltori.

Era il 1946 quando, alla scomparsa di Giovanni Corrù, i suoi tre figli maschi Eligio, Fortunato e Riccardo, decisero di abbandonare la storica impresa del patriarca Gaetano, mettendosi in proprio. I tre sentivano di avere dalla loro parte la grinta, la voglia di lavorare e le capacità imprenditoriali per guardare lontano.

Nell'immediato dopoguerra, i tre fratelli acquistarono un terreno in toscana, una striscia di terra situata lungo il mare, a Marina di Massa. Si trattava di una località della Versilia prossima a Forte dei Marmi, che fino ad allora non era stata lottizzata. In quegli anni iniziavano a sorgere le prime villette che avrebbero portato, di li a qualche anno, a coprire di abitazioni l’intera Versilia, da La Spezia a Viareggio.

La zona era ricercatissima da parte della media borghesia, e i tre fratelli Corrù si trovarono a gestire, dal punto di vista economico ed imprenditoriale, un’opportunità irripetibile. Secondo le testimonianze raccolte tra i vecchi del paese, Riccardo ed Eligio erano molto simili nel modo di lavorare e di affrontare i problemi del futuro, più riflessivi e più portati a soppesare tutti i vari problemi della piccola azienda, mentre il terzo fratello, Fortunato era più immediato ed indipendente.

Riccardo Corrù lavorò insieme al fratello Eligio dal 1958 al 1965. Anni nei quali iniziarono ad essere assunti quei muratori che per interi decenni costituirono la spina dorsale dell'azienda, il braccio operativo di un'impresa edile che iniziava a crescere giorno dopo giorno.

I primi periodi furono durissimi. Non era facile procurarsi lavoro, e in particolare lavoro continuativo, tale da assicurare un'attività e uno stipendio ai primi muratori e manovali assunti. Il colpo di fortuna si chiamò don Mario Brunetti, precedentemente parroco di Cavenago d’Adda, al quale Riccardo si era legato molto nell'adolescenza.

Il sacerdote aveva lasciato Cavenago d'Adda e si era trasferito nell'archidiocesi di Milano, andando a fare il cappellano a Zivido di San Giuliano Milanese. Zivido in quegli anni era un piccolo paese agricolo a venti chilometri di distanza dalla città di Milano. Proprietario dell'immenso fondo di Zivido era l'anziano marchese Annibale Brivio Sforza, e don Brunetti officiava appunto, da cappellano, la chiesa del marchese. Da quando don Brunetti aveva lasciato Cavenago, Riccardo e il cugino Lino Corrù si recavano ripetutamente a trovare il sacerdote dei loro anni giovanili. Riccardo si confidava spesso con don Brunetti sui problemi che lo angustiavano: fu in quel frangente che il cappellano ne parlò con il marchese.

L'incontro tra Riccardo Corrù e vecchio nobile milanese sortì subito l'effetto desiderato. Si lasciarono con una prima commessa: il rifacimento del tetto di un immobile di proprietà del marchese, ovviamente a Zivido. Il modo di fare di Riccardo Corrù - caratterizzato da un carattere franco, aperto, spontaneo - e la precisione nell'esecuzione dei lavori piacquero al marchese Brivio, e tra i due scaturì un legame che sarebbe durato per sempre. Il marchese, sua moglie e i suoi figli, incominciarono a Stimare il giovane imprenditore cavenaghino, fino a trattarlo con una famigliarità e una confidenza che lasciava sorpresi gli esterni.

Frequentando le abitazioni dei Brivio, Riccardo Corrù giunse in contatto con le famiglie dell'antica nobiltà milanese. Erano famiglie che possedevano innumerevoli immobili, parte dei quali necessitavano di ingenti ristrutturazioni e di ammodernamenti; altri che si trovavano all'interno della cerchia delle mura di Milano dovevano essere abbattuti per far posto a moderne costruzioni. Il marchese Brivio non finiva di lodare con i suoi conoscenti le capacità edilizie del giovane di Cavenago d'Adda. Lo misero alla prova, affidandogli i primi lavori, che vennero realizzati a regola d'arte. Fece un gran bella figura. Iniziarono a piovere commesse.

E i muratori di Cavenago dipendenti di Riccardo e di Eligio Corrù iniziarono a recarsi a lavorare a Milano, occupati in interventi che si possono tuttora ammirare nel centro della città. In quei primi anni Riccardo teneva i collegamenti tra un cantiere e l'altro utilizzando una vecchia motocarrozzina.

Poi, quando le cose presero il verso giusto, riuscì ad acquistarsi un'automobile.

Correva senza soste da una parte all'altra, per procacciare lavoro e per seguire gli operai. Erano anni duri, ma i muratori vedevano in lui le medesime qualità del nonno Gaetano, che aveva creato un'azienda forte, capace di rimanere sul mercato in maniera competitiva.

Nel frattempo Riccardo si era sposato: il 20 aprile 1953 era convolato a nozze con Margherita Corrù. Dal matrimonio sarebbero nati Marialuisa, Alvaro, e Gian Emilio.

Nel 1965 i due fratelli Eligio e Riccardo decisero di dividersi, imboccando strade differenti.

Riccardo Corrù, per liquidare il fratello, acquistò tra l'altro la Fornace Pelli di Lodi Vecchio, una struttura avviata che operava nel settore dei laterizi e in quella rifuse tutte le sostanze economiche che aveva messo da parte, e ricominciò dal nulla. Ma poteva così fondare una propria azienda che avrebbe via via assunto, nel giro di pochi anni, una connotazione industriale, per la rilevanza delle commesse e degli appalti acquisiti e per il numero dei dipendenti che occupava.

Le commesse piovevano inaspettate. Le squadre dei muratori di Cavenago entrarono nel centro di Milano, intervenendo presso il Palazzo Belgioioso e il Palazzo Trivulzio. Misero mano alla notissima Villa di Merate. Si trasferirono a Torino, aprendo un cantiere nella Mandria, l'ex residenza della famiglia Savoia, diventata di proprietà del marchese Medici del Vascello. L'impresa edile di Riccardo Corrù lavorava per la famiglia Caprotti proprietaria della catena di supermercati Esselunga, per la marchesa Cicogna, la famiglia Orsi e per il celebre architetto Alberto Mazzoni.

L'impresa Corrù non si limitava alle residenze dei nobili, ma operava anche nel Lodigiano. A Casalpusterlengo vennero costruiti i due alti palazzi che si trovano nel centro storico, dietro al teatro comunale. A Lodi entrò nelle simpatie della famiglia Gay, costituita da imprenditori tutti d'un pezzo, proprietari dell'omonima officina: il commedator Gay iniziò non solo a farlo lavorare nell'industria di Lodi, ma anche nelle sedi staccate di Milano e del Cremasco.

A Livraga riuscì ad assicurarsi i lavori di manutenzione presso la storica Fondazione Vittadini.

E a Terenzano di Turano Lodigiano, piccolo paese situato tra Secugnago e Melegnanello, accettò quasi come una scommessa una sfida rilevante: la costruzione di una immensa stalla, capace di contenere 500 vacche da latte. A detta degli appassionati del settore, quella era la stalla più grande d'Italia, tanto vasta da essere poi visitata, negli anni seguenti, da delegazioni provenienti anche dall'estero.

A Somaglia venne costruita, dal nulla, un intero cascinale: la cascina Castello. I muratori attesero che nei campi venisse tagliato il frumento, poi sulla terra venne tracciato il perimetro dei corpi di fabbrica con in centro la grande aia, e da lì in avanti fu innalzato tutto: la casa del fittabile, le abitazioni dei salariati agricoli, la stalla, il fienile, i depositi. Il tutto realizzato con criteri moderni e innovativi.

L'impresa edile contava su trentacinque uomini. In occasione di un grande cantiere aperto nel cuore di Milano fu necessario istituire due turni di lavoro, e i muratori assunti divennero cinquanta, cosi come per altre commesse.

E lui, in tutto quell'inarrestabile andirivieni di impegni economici, rimaneva quello di sempre. Attaccato alla famiglia, legatissimo alla moglie, orgoglioso dei suoi tre bambini, realizzando contemporaneamente lo sviluppo di Cavenago d’Adda, attraverso diverse lottizzazioni residenziali.

L'interesse edile dell'imprenditore su Cavenago d'Adda si focalizzò alla fine degli anni Sessanta sui terreni che conducevano verso il cimitero, lungo il viale Italia. Sorse così il piccolo quartiere residenziale. In esso trovò posto anche un'ampia costruzione destinata ad accogliere la moderna sede della farmacia e di una pizzeria. Quest'ultima si rivelò una vera novità per il paese.

Di li a poco, all'inizio degli anni Settanta a Cavenago cessò l'emigrazione degli abitanti e il paese iniziò ad ampliarsi.

Vennero gettate le basi per la costruzione del Villaggio Italia.

Ma improvvisa arrivò la morte. Riccardo Corrù si spense, stroncato da un infarto, alle ore 23 del 17 maggio 1975.

Il figlio Alvaro, a soli diciassette anni, sostenuto dalla madre e dalla sorella, dimostrò un ammirevole forza e un indiscusso coraggio nel prendere in mano le redini dell'azienda. L'antica clientela fece quadrato attorno all'impresa edile.

Seguirono anni di intensa attività nei quali furono portati a termine tutti i lavori iniziati dal padre. Poi vennero aperti nuovi cantieri.

Da tempo i due figli, Alvaro e Gian Emilio Corrù, hanno imboccato strade differenti, il primo operando in particolare nel settore immobiliare e l'altro rimanendo assieme alla sorella nel campo edilizio con un forte gruppo di muratori alcuni dei quali assunti ancora da Riccardo. L’impresa Riccardo Corrù si è ulteriormente ampliata, diventando una delle realtà più stimate del Lodigiano. Quanto ne è seguito, dopo oltre trent'anni, è storia di questi giorni.

Da “L’amico” del maggio 2005 in occasione del trentesimo anniversario dalla scomparsa di Riccardo Corrù

L’impresa oggi

L’impresa edile Riccardo Corrù vanta di un numero importante di muratori e di tecnici e si occupa di restauro, ristrutturazioni e costruzioni sia nell'ambito residenziale che commerciale, industriale con opere che spaziano dall'abitazione privata al capannone nella zona di Lodi e paesi limitrofi, ma operando frequentemente, come nel passato, nel centro storico della città di Milano.

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